Michele Scotti

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sabato, ottobre 25

PUNKZ!



La leggenda narra che al numero 439 di King’s road, in un retrobottega di un negozio di vestiti usati, due menti geniali decisero di provare a sconvolgere il costume dell’intero globo: la trasgressiva mente creativa Vivienne Westwood e il suo giovane fidanzato Malcom McLaren. I due, catturati da un’innata ed impressionante fantasia ed ‘appesantiti’ inventano il fenomeno che incendiò gli anni ’80: il punk.

Una storia trascinante di una stilista che proprio alla storia resterà per aver saputo stravolgere, inquietare, addolcire, ridisegnare il codice artistico, specchio delle evoluzioni sociali, comunemente definito moda. Il vocabolario definisce come ‘punk’ un movimento giovanile nato nella seconda metà degli anni Settanta che dimostra la propria protesta contro la società tramite un comportamento antico. Il termine punk fu coniato da Lenny Kaye, giornalista e storico del rock, indicava un abbigliamento fatto di spille, borchie, capelli tinti di colori vivaci.

Se è vero che il paninaro più che un rappresentante di un modo di essere adolescenti, sembrava esserne una caricatura , il punk nasceva da un forte disagio sociale. Essere punk significava contestare totalmente la società di appartenenza, rifiutarne i valori, annullarsi nel nichilismo e nell’autodistruzione di cui l’abbigliamento era l’espressione.

Il punk urlava la sua rabbia con la musica, i suoi abiti strappati, il suo look che sembrava un pugno nello stomaco sferrato a chi, incontrando il giovane, mostrava indifferenza. Punk e paninari, due modi opposti di rapportarsi alla società: i primi la rifiutavano, i secondi vi aderivano completamente.

Mi ricordo che quando ero piccino ero letteralmente affascinata da questo curioso modo di vestire…tutte quelle borchie, quelle spille, quei vestiti di pelle lucidi e quei trucchi cosi “spaziali”. Ne ero talmente affascinato che un anno riuscii persino a corrompere mia madre…e ad una delle tante feste di carnevale della mia infanzia mi presentai in veste punk.

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